Politics Busting – Fotomontaggi sovversivi

ottobre 12, 2009 alle 7:40 PM | Pubblicato su Il nuovo mondo | 1 commento

obama_protesteArticolo pubblicato su Chips&Salsa/Il manifesto del 10 ottobre 2009

Fotomontaggi sovversivi

Dall’Obama-Joker al Berlusconi ritoccato, le immagini manipolate dagli utenti si propagano in rete e arrivano nelle piazze. Una nuova arma di “guerriglia digitale” che cambia le regole della comunicazione politica

«Non si arrabbia, il Cavaliere, per quel mare di immagini satiriche che viaggiano sulla rete, e che lo vedono protagonista. Anzi. In una conferenza stampa tenuta oggi, in cui spazia tra argomenti serissimi – dal vertice europeo di Nizza alle prossime elezioni – Silvio Berlusconi non si sottrae alle domande di chi gli ricorda il suo attuale ruolo di involontaria star internettiana. E la risposta non si fa attendere: i migliori riceveranno ‘premi importanti’, anche perché ‘confermano – dice con un largo sorriso il leader di Forza Italia – il successo della nostra campagna di comunicazione’».
Correva l’anno 2000, gli editti bulgari erano ancora storia a venire, e così La Repubblica sintetizzava la conferenza stampa in cui «l’involontaria star internettiana» dimostrava di saper apprezzare gli «sfottò elettronici» scatenati dai suoi cartelloni 6×9, i cui slogan erano stati ribaltati in «Più tosse per tutti», «Meno cerone per tutti» e via dicendo.La mania di “photoshoppare” i manifesti elettorali era appena scoppiata in Italia: un elemento di novità che di lì a pochi anni sarebbe diventata una costante di tutte le campagne elettorali, quando migliaia di utenti si divertono a parodiare, remixare e capovolgere i messaggi degli slogan elettorali. E’ quello che lo studioso Derrick De Kerckhove definisce politics busting , ovvero “sovvertire la politica” attraverso il ricorso a software digitali e alla propagazione virale online. Come è successo nell’ultima campagna elettorale statunitense che ha visto migliaia di blogger sfidarsi a colpi di Sarah Palin deturpate e Obama-Superman. Fino al clamoroso caso di Shepard Fairey, il cui poster Hope è diventato il simbolo raggiante dell’ascesa di Obama alla Casa Bianca, distribuito in milioni di copie online e offline.

Politica al Photoshop
Eppure, non sempre è facile tenere sotto controllo ciò che si muove nel sottobosco della rete. Una riprova ci arriva dal caso dell’Obama-Joker che di recente ha infiammato non poco il dibattito negli Stati Uniti. Questa la storia in sintesi. Lo scorso gennaio su Flickr è stato pubblicato un fotomontaggio con la famosa copertina di Time «Obama persona dell’anno», su cui era stato sovrapposto il sorriso di Joker, personaggio cattivo della saga di Batman. Come ha poi scoperto il Los Angeles Times , l’autore era uno studente di 20 anni che con questa immagine voleva dire: «State attenti a ciò che si nasconde sotto la maschera del nuovo presidente degli Stati Uniti».
Per molti mesi non è successo nulla, fino a quando l’Obama-Joker non è stato intravisto su un cavalcavia di Los Angeles, in versione modificata: senza la copertina di Time e con l’aggiunta dello slogan «Socialism». Cosa era successo? In pieno dibattito per la riforma della sanità, i gruppi ultra-conservatori si erano appropriati dell’immagine, facendola diventare l’icona delle proprie proteste: il ritratto ha iniziato a circolare sui blog di estrema destra, per poi finire sulle t-shirt; alle marce contro Obama più di un attivista si è presentato truccato da Joker. Quanto è bastato perché il fotomontaggio diventasse un vero e proprio caso politico.
In un duro editoriale, il Washington Post ha denunciato un’inquietante matrice razzista: il primo manifesto è comparso proprio nella città che nel 1992 era stata teatro dei violenti scontri con gli afro-americani; il personaggio di Joker rappresenterebbe quindi la persona di cui non ti puoi fidare, il cattivo (di colore e per di più in odore di socialismo) che si maschera sotto un sorriso falso.
Quanto c’è di razzista nell’Obama-Joker è ancora oggetto di discussione (anche per la genesi complicata del ritratto). Certo è che per gli ultra-conservatori si è rivelata un’efficacia arma di politics busting. Con un’importante novità rispetto ai manifesti taroccati di Berlusconi o ai poster elogiativi di Shepard Fairey: ormai non si tratta di semplice attivismo da campagna elettorale, ma di tattiche di «guerriglia» permanente, che irrrompono nel dibattito politico e sono in grado di aggregare il dissenso. Se l’Obama-Hope aveva fatto fare un salto di qualità alla «propaganda generata dagli utenti», con l’Obama-Joker il cerchio si chiude: l’immagine manipolata invade gli spazi urbani e diventa un’arma di contro-protesta. Chi di Photoshop ferisce, di Photoshop perisce.

Berlusconi-Joker
Proprio mentre negli Stati Uniti imperversava il dibattito sull’Obama-Joker, in Italia l’esperto di social-network Vincenzo Cosenza ha pensato di replicare l’operazione, creando un Berlusconi-Joker: «Il mio era solo un esperimento per vedere se anche in Italia c’era terreno fertile per questo genere di operazioni – spiega Cosenza a il manifesto – E così, quando mi sono imbattuto nell’immagine di Berlusconi che alla conferenza stampa con Putin fa il gesto della mitragliata su una giornalista, ho pensato di fare un fotomontaggio con il Joker, in modo da ricollegarlo al clima pesante che attualmente si respira in Italia sul fronte della libertà di informazione. Un significato diverso rispetto all’Obama-Joker (dove c’era l’intenzione di svelare ciò che è nascosto): Berlusconi già si presenta come un Joker, uno che gioca di continuo e ha un forte approccio spettacolarizzato alla politica. Quindi volevo solo enfatizzare ciò che lui è già».
Cosenza pubblica il ritratto sul suo blog e poi inizia a farlo circolare su diversi social-network. «Dopo qualche giorno ho visto che molti utenti di Facebook avevano ripreso l’immagine, per lo più per protestare contro la mancanza di libertà di informazione in Italia». Fino a quando il Berlusconi-Joker è arrivato sulla copertina dell’ultimo numero di Micromega. «A differenza degli Stati Uniti, però, in Italia non c’è stato anche il passaggio negli spazi urbani. Forse perché da noi simili operazioni sono viste ancora come divertimento e non come forme per organizzare il dissenso».

Iran, Cina
Lo stesso non può dirsi, invece, per i tanti paesi in cui i dissidenti devono fare i conti con la repressione di stato. E dove le immagini ritoccate rappresentano un’ottima arma per aggirare la censura (anche perché difficilmente controllabili dai software automatizzati). Durante le recenti celebrazioni del 60esimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare della Cina, un’immagine simbolica è riuscita a scavalcare la «grande muraglia digitale» di Pechino e fare il giro di migliaia di blog e forum. Nel tentativo di parodiare i faraonici carri messi in campo dal governo, un gruppo di dissidenti ha infatti organizzato una «contro-parata» virtuale. Il tutto a colpi di immagini photoshoppate: in una si vede un carro con un’enorme tastiera per pc e sopra il messaggio «Questa pagina non può essere visualizzata». Lo stesso che visualizzano migliaia di netcitizen quando provano a collegarsi a Facebook o a Twitter.
Ancora più incisiva si è rivelata un’immagine circolata online durante le proteste dei Green in Iran: una donna di spalle che prova a bloccare l’auto blindata su cui avanza Ahmadinejad. Una chiara citazione della foto di Piazza Tienanmen in cui si vede un ragazzo fermo di fronte ai carri-armati schierati. In un primo momento la foto è stata considerata autentica e in molti ne hanno parlato come dell’«immagine simbolo della protesta in Iran». Fino a quando non si è scoperto che si trattava di fotoritocco diffuso dall’onlus Secondo Protocollo. Associazione di cui non sono ben chiari gli interessi, come hanno rivelato Indymedia Roma e altre fonti online secondo cui dietro la facciata di «onlus che lotta per i diritti umani» potrebbe benissimo nascondersi un’agenzia che sostiene la «rivoluzione colorata» per conto dei governi occidentali. Nell’era della politica al Photoshop c’è da aspettarsi anche questo.

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Come Photoshop ritocca la democrazia

L’adbusting o subvertising (in italiano si può tradurre con «sovvertire la pubblicità») è una forma di attivismo in cui si ribaltano i messaggi pubblicitari delle grandi corporation, lasciando intatto il layout e la grafica originale. Spiega il gruppo canadese di AdBusters (storica rivista del genere): «In questo modo riusciamo a infiltrarci nella finzione della realtà mediata e, per un momento, riveliamo una verità più profonda». Come nel caso dell’Obama-Joker che si può vedere a fianco: la sovrapposizione di un personaggio cinematografico sul tradizionale ritratto da prima pagina, provoca una sorta di «dissonanza cognitiva» che invita a riflettere: chi è davvero Barack Obama?

Se fino a pochi anni fa l’adbusting era una pratica riservata per lo più alle elite creative, con l’emergere delle culture partecipative in rete si afferma come fenomeno di massa. Basta un banale software di fotoritocco (come il popolare Photoshop) e la capacità di innescare un meccanismo di propagazione virale sui social-network ed il gioco è fatto.
Analizzando il dilagare delle immagini ritoccate dal basso durante le campagne presidenziali statunitensi, già nel 2004 lo studioso Henry Jenkins parlava di «Photoshop per la democrazia»: in rete prendono piede forme di cultura popolare (tra cui appunto lo sberleffo di ciò che prima era considerato sacro) che fanno perdere ai politici l’aura da cui erano circondati nell’epoca dei media di massa. Non si tratta di un semplice gioco, scrive Jenkins, «una parodia politica può essere il primo passo verso un maggior impegno».

E’ quello che gli studiosi Derrick De Kerckhove e Vincenzo Susca hanno definito politics busting , variante 2.0 e focalizzata sulla politica dell’adbusting . Nel riprendere questa definizione, Antonio Sofi (docente di Sociologia all’Università di Firenze) nota come: «Fin dagli albori di internet, i ‘manufatti’ della comunicazione politica sono stati interpretati in modo (per certi versi) pre-satirico, spesso lavorando sulle incongruenze e sui punti deboli dell’immagine politica proiettata. Una sorta di ribellione dal basso, più o meno consapevole: per mostrare che il re è nudo. Niente si salva: dal programma alla proposta politica, dalla grafica al progetto comunicativo. La politica deve tenerne conto, e pensare sempre più a proposte a prova di sberleffo (se ci riesce)».

Anche Fabio Giglietto, docente di Teoria dell’Informazione all’Università di Urbino, sottolinea i cambiamenti che si profilano per il dibattito politico: «Stiamo transitando verso l’epoca della comunicazione di massa per le masse, in cui le vecchie audience non solo fruiscono dei media, ma contribuiscono anche alla produzione. Il che genera effetti di scala difficili da prevedere sul lungo periodo. Cambia lo statuto delle conversazioni politiche: prima erano effimere e per lo più private, in rete invece diventano pubbliche, persistenti e ricercabili». Quanto alle recenti forme di politics-busting , Giglietto invita comunque a non caricare di troppe aspettative queste nuove forme di espressione: «Al di là della retorica dell’auto-organizzazione dal basso, il movimento di Obama ha avuto un riscontro fuori dalla rete anche perché c’è stata una buona organizzazione a monte». Cosa che ancora non a vviene in Italia, dove invece l’attivismo online rimane spesso confinato allo stadio di semplice divertimento ludico. «Ma in questo momento in cui si discute tanto di concentrazione dei media e mancanza di libertà di espressione, si aprono nuove prospettive anche in Italia. Anche il semplice gesto di condividere un video su Facebook ha un impatto sull’opinione che i nostri amici si fanno delle questioni di attualità. Nel tempo queste conversazioni potrebbero diventare rilevanti quanto quelle tradizionali».

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